Non ho i tempi giusti

Decisamente fuori tempo, pubblico anche io il mio diario di frammenti dalla giornata del 3 luglio a Chiomonte.
Mi rincuora sapere che tante sono state le voci che hanno saputo abbattersi contro la coltre di falsita’ strumentali sparate ad altezza del cervello medio degli spettatori italiani, quasi come se le cortine di lacrimogeni non fossero state gia’ sufficienti. Agenzia X ha giusto pubblicato un instant e-book, Nervi Saldi, che raccoglie i resoconti le dirette e gli articoli dai blog, “we are everywhere”.
Per fortuna in barba alla mia lentezza, hanno avuto immediata circolazione e visibilita’ le dichiarazioni di Revelli, l’articolo di Giuseppe Genna, cosi’ come le decine di tracce lasciate da chi ha camminato fra i torrenti, i sentieri e le strade al fianco dei No Tav. ,
Teniamo i nervi saldi e i nostri strumenti ve li lanciamo contro, vi faranno male perche’ non sono le astrazioni scritte da qualche espertone per essere pronunciate da un figlio deficente e poi ripetute nell’etere, ma perche’ sanno esprimere un altro tipo di forza, che si sostanzia della capacita’ di veicolare contenuti condivisi.

Albeggia, arrivo in bici, c’e’ gia’ un capannello di chi deve partire, assieme alla sfattanza di chi invece sta chiudendo la sua serata.
Arriva l’autobus, e’ gia pieno e 2 macchine ci seguono, nonostante le 2 soste in autogrill vari livelli di cottura fanno calare il silenzio da subito nel convoglio. Tutti dormono.
Verso le 9 ci avviciniamo alla valle, l’autostrada e’, nell’altro senso di marcia, un serpentone di camionette. Senza soluzione di continuita’.
L’appuntamento e’ a Exilles dove partono tutti i cortei. Io becco il miei amici di universita’ con il fedele cagnone. Resteranno nel corteo istituzionale, io dopo una breve consultazione con altri decido con altre 3 persone di muovermi verso il sentiero.
In marcia in salita di paesino in paesino, il corteo e’ silenzioso, ma la gente del posto seduta sotto il patio della propria casa ci saluta e ci sorride. La strada e’ costeggiata da rivoli d’acqua che sgorgano da ogni parte e la gente
si ferma a ristorarsi, fa caldo anche se l’aria di montagna a quest’ora e’ ancora pungente.
Incontro sulla via un po’ di persone care, mi aggrego e mi allontano per raggiungere il gruppetto delle persone con cui sono arrivata ma non riesco mai ad incrociarli. Proseguo sul sentiero finche’ non ci si infila sotto la coperta dei boschi, sono con un po’ di toscani d’adozione, cari compagni che ormai conosco da anni anche se non ci si vede spesso, mi fido ciecamente.

Scendiamo ed il sentiero si fa sempre piu’ dissestato, siamo su una mulattiera, nei pressi della falesia di Ramats
e ci avviciniamo a quella parte di cantiere dove i piloni incontrano la montagna. Sono monoliti enormi di cemento, dall’alto i birri sparano puntando i lacrimogeni sui manifestanti. La gente del bosco e’ di varie eta’ e vari accenti, avanzando aumenta la tensione. Si inforcano le maschere, gli elicotteri volano molto bassi e proiettano le loro cupe sagome sul bosco, da lontano continuano a sentirsi spari sono i lacrimogeni che vanno gia’ da un po’ a Giaglione, ma ogni tanto si distingue anche qualche petardo, ci si guarda negli occhi sotto le maschere e gli occhialini …”beh pero’ questi siamo noi!”.
Scendo ancora nel sentiero sempre piu’ scosceso e serpentino, ad un certo punto un lacrimogeno cade a 10 metri, scatto una foto nel bosco, in un attimo ne cadono a spirale altri 5 intorno a me non si respira piu’, le foglie degli alberi fanno da cappa e il gas non si disperde. Bisogna risalire senza formare tappi sul sentiero per consentire a chi e’ piu’ in basso di poter risalire dove c’e’ aria.
Limone, maloox viaggiano di mano in mano. La gola smette di bruciare ed il respiro riprende un corso neutro. Ci si guarda intorno siamo ancora qui, tre rapide occhiate per non perdersi di vista.
Intanto arrivano sms di chi e’ preoccupato da casa, quello che sta uscendo sui giornali e’ gia’ un delirio.
Si racconta che i manifestanti lancino fantomatiche bombe di ammoniaca… io continuo a vedere intorno a me gente diversa, che e’ li’ per dire no e chi parla di solidarieta’ alla gente della valle, ma anche chi poi a casa sostiene i beni comuni
si batte contro le speculazioni leggittimate da una costruzione dell’emergenza e di falsi bisogni, chi ha una bandiera del no dal molin, chi spaccia cartoline per il bike pride.
Ad un certo punto sale su un compagno romano e’ stato preso al braccio da un lacrimogeno pure lui, va via. Sento gli altri per telefono sono arrivati giu’ ed hanno tagliato la recinzione, la situazione e’ tranquilla. Si riscende ma presto arriva la cortina di gas e si risale, ancora limone, dal basso arrivano voci che sono partiti anche gli idranti, decido di non scendere oltre, almeno per ora.
Non ho che un fazzoletto imbevuto di limone che mi evita il bruciore.

Arrivano in continuazione persone nuove, un continuo saliscendi di ricambio: chi porta i secchi pieni d’acqua e chi ha i tamburelli e suona la samba, sotto non si puo’ stare a lungo, fra lacrimogeni, pallottole e idranti. Intorno a me vedo occhi incastrati nella biacca, e’ il maalox coagulato fra le rughe d’espressione. Vorrei fotografarli, ma non e’ il momento, restera’ impresso nel mio ricordo.
Giunge voce che a Giaglione invece siano riusciti a sfondare la barricata. Si va a scendere ancora, ma nulla i lacrimogeni continuano a fioccare nel bosco a rischio di prendere fuoco e io mi sento inerme col mio fazzoletto fiorato e la maglietta gialla. Ad ogni modo ha senso essere qui nel mezzo del bosco fra i monti, si respira la forza della lotta dei No Tav che da piu’ di 3 anni combattono in queste valli, sono decisamente improbabile con il mio contributo, non sono preparata eppure resto qui e i black bloc, questa figura mitologico/mediatica, ultra tecnica ed astratta qui, mi spiace, non esiste.

Decido di risalire insieme al mio plotone hackaro e alle tre del pomeriggio ci ritroviamo stesi sotto gli alberi della chiesa di S. Antonio, le membra sono molli per il continuo su e giu’ per il bosco, finalmente mangiamo qualcosa.
In piazza dal megafono giunge un minimo di strategia, chi ha le maschere puo’ tornare giu’ nel bosco dove i compagni stanno ancora resistendo alla recinzione, chi invece non ha protezioni puo’ andare alla centrale dove anche li’ il corteo sta facendo pressione dall’altro lato del ponte.
Scendiamo dal sentiero di S. Giuseppe, ci muoviamo sotto i piloni di cemento, mostruosi, sono l’avamposto delle forse del disordine, da li’ si sentono forti, sovrastano la valle, ma tutto intorno gli dice di NO.
Dall’altra parte del fiume si vede il corteo che viene giu’ da Chiomonte, stanno facendo un gran bel rumore, battono sui gard rail, i fumi dei lacrimogeni qui si disperdono piu’ velocemente.
Arriviamo sulla strada del ponte della centrale, i manifestanti assediano la recinzione su entrambi i lati del fiume, non e’ possibile contare quanti lacrimogeni vengono lanciati al secondo, il vento li disperde ma in continuazione ne arrivano altri mille. Mi avvicino al ponte, il ritmo di chi batte i grad rail da’ il tempo alla sassaiola, i birri sono compatti e bardati dietro la recinzione, gli facciamo il solletico, ma quell’immagine mi rende orgogliosa, e’ la reazione di chi viene assalito e non puo’ che difendersi.

Lo spezzone in cui sono io continua a fare avanti e indietro, ma ad un certo punto mi svacco per terra, non ce la faccio piu’. Il quatricipite non mi regge, ho corso e camminato tutto il giorno ho bisogno di stare ferma. Nel frattempo il disordine spara ad altezza uomo, incrementa i lacrimogeni ed avanza verso il ponte. Io sono per terra ma si fa ora di muoversi verso Chiomonte per il puntello del rientro, un paio di compagni mi raccattano. Proviamo ad andare verso il ponte ma il passaggio e’ ormai sbarrato da un enorme scarafaggio nero polimorfo che scoreggia roba acida. Torniamo indietro, si guada il fiume da un ponticello di legno, cazzo nemmeno in India… e sull’altra sponda trovo un po’ dei milanesi che fanno avanti e indietro dalla casina dove gli abitanti hanno messo a disposizione l’acqua. Gli occhi e i visi sono rossi ma sorridenti.
Risaliamo sulla strada e incontro altri ancora, hanno tutti i loro racconti e ci si abbraccia, come di ritorno da un viaggio, il tiro della fune che ha aperto la recinzione del cantiere, la solidarieta’ ed il coraggio.

Raccattiamo i dispersi e ci infiliamo ancora una volta nel bosco per risalire in paese. Sembra di essere scampati ad una catastrofe, ed un po’ lo e’. Alle sei abbiamo il puntello per rientrare in citta’, seduti in piazza ci raccontiamo tutto, stanchi morti.

3 commenti

  1. Uffi avessi letto prima ti avrei inserita nel racconto che sto facendo di tutto ciò. Ma ci provo comunque col tuo permesso…

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