Proud to be mayday

 corteo le novaresi 

Guarda tutte le foto dalla demo milanese del primo maggio. In piu’ linko una riflessione interessante postata da querty sulle nuove forme di organizzazione dei lavoratori nella produzione in rete. Si tratta di un’intervista a Ned Rossiter, in occasione della prossima uscita del suo nuovo libro per Manifesto libri.

Come ricostruire le organizzazioni dei lavoratori e rispondere ai loro bisogni nella società in rete?
Le organizzazioni politiche si trovano di fronte a diverse sfide.
Primo, c’è bisogno di criticare la visione del lavoro come un’entità
coerente e ben distinta. Sappiamo bene che nei fatti il lavoro è
contraddittorio e contiene registri multipli e differenti che non è
facile connettere (genere, classe, etnia, età, modalità di lavoro…).
Come organizzare gli inorganizzabili? Secondo, dobbiamo interrogarci
sul confine tra lavoro e vita, un confine che la biopolitica
contemporanea ha reso indistinto, mettendo al lavoro e rendendo
produttivo ogni aspetto della vita. Non possiamo più separare il
pubblico dal privato, e ciò ha un’enorme importanza sul modo in cui
immaginiamo le organizzazioni politiche di oggi. Paolo Virno parla di
una “sfera pubblica non-statuale”. Ma dov’è questa sfera? In rete, e in
nessun luogo. Ci sono fantastiche organizzazioni politiche che restano
soltanto al livello del virtuale, che è il territorio delle
“information war” di oggi. Però il problema della materialità persiste,
e diventa urgente come ci dimostra la crisi ecologica.

Come far parlare questi due mondi?
Personalmente preferisco un approccio che tenga insieme la dimensione
virtuale dell’organizzazione e la condizione materiale. Può prendere la
forma di un evento o un meeting, workshop, ricerche sul campo,
esperimenti urbani, centri di supporto ai migranti, laboratori dei
media… ci sono molte possibilità. E in questi tentativi abbiamo
cominciato a veder nascere nuove forme di istituzione. Sono istituzioni
in rete, molto lontane della cultura statica e dai regimi normativi
delle istituzioni dell’era moderna – sindacati, imprese, università e
stato. La loro natura mobile ed effimera è sia una forza, sia una
debolezza. L’invenzione di nuove forme istituzionali è centrale nella
ricostruzione di organizzazioni del lavoro contemporanee. Ma esse non
devono essere viste come un peso che smorza la spontaneità, la libertà
e la cultura di condivisione e partecipazione che caratterizzano i
network sociali. Queste nuove istituzioni devono facilitare le
connessioni che rendono possibili nuovi territori del politico.

In rete l’appropriazione da parte delle imprese sta
raggiungendo ogni istante delle nostre vite, per esempio nel web 2.0.
Cooperazione e coproduzione sono una ricchezza della società o delle
aziende?

Questa è una delle tensioni principali dell’economia della
partecipazione del web 2.0. I sindacati industriali proteggevano i
lavoratori dallo sfruttamento e rappresentavano il loro diritto a
condizioni migliori di lavoro. Ma cosa succede nel momento in cui le
attività di svago diventano una forma di generazione di profitto per le
imprese? Social network popolari come Facebook, MySpace, Bebo,
Del.icio.us e i dati che lasciamo a Google sono miniere d’oro per i
proprietari di questi siti, grazie agli spazi pubblicitari e alla
vendita di dati aggregati. I sindacati non possono più fare appello
all’oppressione dei lavoratori quando gli utenti cedono informazioni
volontariamente e non chiedono di partecipare ai profitti. Però stiamo
cominciando a vedere dei cambiamenti, dato che gli utenti diventano più
consapevoli e possono abbandonare un social network altrettanto
velocemente di quanto vi siano sciamati dentro. Le imprese sono
vulnerabili alle masse in rete il cui lavoro cooperativo ne determina
la ricchezza. Questa cooperazione è una forma di potere che può essere
mobilitata in forma politica, in forme di soggettività preferibili alla
ributtante cultura della “democrazia degli azionisti” che è diventata
una delle espressioni politiche del cittadino neoliberale.

La Mayday di quest’anno è fatta dai migranti oltre che dai
precari dei call center, delle cooperative sociali, dello spettacolo…
Come tenere insieme queste differenze?

Non c’è alternativa alla lotta e alla tensione che accompagna le
relazioni di cooperazione. In concreto, le relazioni passano per il
lavoro o l’incontro con gli altri. Condividere, produrre, creare,
ascoltare. Far parlare lingue ed esperienze diverse significa creare lo
spazio per nuove istituzioni.
Se la precarietà è una condizione comune, che attraversa classi e scale
geoculturali, possiamo chiederci: in quale situazione la precarietà
esprime se stessa? Nelle reti virtuali, materiali, affettive e sociali,
in cui ci connettiamo con gli altri. La EuroMayday è precisamente una
di queste situazioni. Ogni anno la Mayday articola un’accumulazione di
saperi distribuiti e condivisi, e diventa più potente. Mi chiedo se la
sua forza non sia nella spettacolarità dell’evento ma piuttosto nella
risonanza dell’esperienza sulle piccole connessioni e pratiche che
hanno luogo prima e dopo l’evento. Quello è il tempo e lo spazio della
nascita di un’istituzione. Il resto è una dichiarazione pubblica di
esistenza.

Il Manifesto, 1 maggio 2008

 

2 commenti

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