la biennale cinema – sabato 5 settembre

Sabato torno al lido ed alle 11 mi fiondo ancora nella sala degli autori (il perla 2) per vedere il film di Paskaljevic, Honeymoons. Ancora i Balcani, diversi anni dopo "La polveriera", questa volta si ruota fra Serbia e Kossovo, storia di 2 coppie che si accingono a partecipare ad un matrimonio, mostrando le ferite e l’odio, i conflitti e le divisioni nelle piccole e nelle grandi storie. L’ambizione per entrambe sara’ quella di evadere verso l’Europa, per gli albanesi approdo e’ quello pugliese alla scoperta del triste volto dei carabinieri, i serbi invece si fermeranno alle porte dell’Ungheria. Il viaggio di nozze e’ quello che si fa verso una vita nuova, dove si infrangono i sogni e si rimettono i piedi per terra. Oltre alla perfezione rasentata, questo film ha avuto il pregio di aver coinvolto in fase di produzione una troupe serba e kossovara, una specie di miracolo.


Alle 15 Prove per una tragedia siciliana, un sogno in forma di documentario, il sopralluogo e la ricerca dei suoni e dei volti per un film con un puparo sicilano come protagonista. John Turturro alla ricerca delle sue radici italiane, guarda la sicilia col suo occhio spiritato e resta affascinato dalla maestria del vecchio puparo, catturato dalla sua arte tramandata per via orale come un vecchio aedo, che conosce i gesti, le pause e la respirazione di un rituale magico.
Sembra un film semplice che piacerebbe anche ad un bambino, ma ha in se’ dei livelli di analisi inaspettati sul labile confine fra verita’ e finzione, l’attore marionetta o puparo, sulla trasmissione dei saperi e sulla voglia e la detreminazione a realizzare i sogni.


Panino al mitico baracchino giardineire, quello con i girasoli piantati nell’aiuola accanto e poi si va a vedere Desert Flower,

il film piu’ pop che ho visto, il piu’ colorato, il grande cinema quello che vogliono fare i miei studenti, la storia di cenerentola e la fiaba dell’ascesa del fiore del deserto nel mondo dello show biz. Una ragazzina somala scappa per magia dalla sua vita di pastorella al fianco di un vecchiaccio con altre 15 mogli per andare a londra e scoprire che e’ bellissima e che diventera’ una top model, fin qui una cagata. Si direbbe. Peccato che il film e’ in realta’ un pretesto per parlare dell’infibulazione e racconta della storia vera di Waris Dirie (il film e’ l’adattamento del lbro che ha scritto lei personalmnte), una donnazza bellissima presente anche in sala, che ha fatto rabbrividire emozionare ed anche divertire. Come dire soldi spesi bene quando una volta tanto la grande macchina delle fiabe da’ voce a chi non ce l’ha. Poi si potrebbe anche dire che sto passaggio del divenire donna per una persona che e’ stata mutilata proprio nella sua intimita’ e’ anche un processo che non e’ mai puramente individuale e che ci vuole una presa di coscienza collettiva, ma nelle fiabe ancora queste cose non le abbiamo mai viste.

Scanzo Pepperminta e mi concedo una pausa per la serata che invece mi riservera’ due bombe ad orologeria. Yi ngoy (Accident) di Soi Cheang, risulta cantonese ma e’ prodotto dal mitico Johnny To e quindi deduco che l’impronta e’ quella del cinema di Hong Kong (la gente nel film ha la guida a destra) che da subito abbiamo amato: il soggetto e’ strepitoso, un bounty killer dei giorni nostri assieme al suo gruppo fa in modo che le sue sembrino vittime di un incidente, in realta’ lui e’ ossessionato e paranoico e quindi perdera’ la sua freddezza ed il suo controllo. Anche il film si perde un po’ nel finale forse perche’ noi occidentali abbiamo difficolta’ a gestire i volti orientali e basta che lui si metta gli occhiali e non esca di casa per un po’ per confonderlo con qualcun’altro. Il finale nella sceneggiaggiatura e’ sicuramente un po’ troppo veloce e salta dei passaggi grazie all’aiuto del deus ex machina, ma chissene frega, e’ un film spaziale.

Immediatamente dopo, a ciclo continuo, il terzo capitolo di Tetsuo, the bullet man. E’ impossibile duplicare l’emozione della prima volta in cui ho visto il primo Tetzuo e quello che quel film rappresenta per me. Ad ogni modo, essere nella stessa sala con un maestro del cinema contemporaneo significa rendergli omaggio, e farsi martellare i sensi dal suo ultimo film fatto di sola violenza che ti entra dritta nelle vene senza passare per alcun livello cognitivo ha ancora un senso. Una sedia elettrica di velluto.

E’ tardissimo e fa un freddo porco, esco con ancora i timpani che mi pulsano nelle orecchie e mi addormento in vaporetto mentre un gruppo di vecchi cinefili travisa completamente la corporeita’ viscerale del cinema di Tzukamoto paragonandolo al futurismo italiano. ZzZzzZ