Se sei a Gerusalemme puoi andare nella città vecchia, dove tutte le strade convergono, ma se provi a dirigerti da un’altra parte la gente ti ferma.
E’ così che mentre mi muovevo verso Gerusalemme est un tipo in un mega macchinone mi chiama e mi spiega cortesemente che la città è nella direzione opposta e che, ovviamente, sto sbagliando strada.
Peccato che la città continua ed è anche parecchio estesa. Proseguo nella mia direzione ed il tizio si prende la briga di fare inversione di marcia per venirmi a ripetere che non sto andando nella giusta direzione. Al che gli rispondo di non preoccuparsi di me che sto facendo un giretto.
La città cambia completamente, le strade sono dissestate, rifiuti in giro, i palazzoni sono sempre ricorperti di pietra e mi rendo conto che la città non e’ semplicemente divisa in due, ma è fatta a strati, in verticale, sembra quasi che il livello della strada non sia importante,
ciò che conta è che per le cartoline la città bianca e l’omogeneità della pietra venga preservata. Cosa importa del livello della vita e della quotidinaità?
Intanto questo sali scendi fra i colli di Gerusalemme est mi ammazza i polpacci e devo partire per Ramallah, torno indietro aspettando un bus che mi riporti al livello del paradiso. Tornerò verso la zona di Gilo dove la città israeliana si sta espandendo in barba ad ogni accordo.
Vado alla fermate del bus palestino dove il viaggio per Ramallah costa solo 6.50 shekel. L’autista capisce subito che sono italiana, non so da cosa.. ma qui tutti adorano gli Italiani perché nel 1982 dedicarono la vittoria dei mondiali al popolo palestinese.
Sono orgogliosa, all’epoca a veo 6 anni e non mi ricordavo di questa cosa; devo dire che mi avvantaggio volentieri di questo bonus, anche se l’Italia di oggi ha ben poco di quell’afflato e cerco in qualche modo di spiegarlo anche a loro.
A Ramallah mi accoglie il solito dedalo del mercato, vado a cercarmi un posto dove stare lasciando la mia valigia all’autista del bus che se la posta con se’ indietro a Gerusalemme. Mi fido.
Trovo questa super bettola che sembra una casa di Kreuzberg con la moquette ed il soffitto ammuffito. Mi va bene. Il propietario è un tipo palestino-francese che è riuscito a ritornare da pochi mesi nel suo albergo, devo dire che la situazione mi garba abbastanza.
Chiamo il tipo del bus che mi dice che mi viene a portare la valigia in serata cosi’ andiamo a cena insieme.
Bella, qui l’houmus e’ buonissimo affogato nell’olio e con un po’ di ceci interi e peperoni messi al centro del piatto.
Mi racconta un po’ della città, odia al fatah e hamas di certo alle prossime elezioni vince anche qui. Al Fatah, dice, e’ il sinonimo di corruzione proprio qui a Ramallah che è coperta di immagini di Arafat.
Dopo cena andiamo con il bus verso la periferia, anche qui il muro stritola la città.
Ieri faccio questa bella pensata: voglio andare a Nablus e perchè non andarci in bici? Sono solo 45 km. La cosa migliore cmq è partire in giornata, perchè sono fra il venerdì ed il sabato dove tutto si ferma, non che mi serva nulla, soprattutto se mi devo spostare in bici, ma così, per non saper nè leggere nè scrivere, me ne vo.
Al mercato tutti prendono a cuore la mia causa ed arrivo dal biciclettaro con un nugolo di ragazzetti che ridacchiano in arabo cose che non capisco. In sostanza trovo un accordo per una bella mountain bike con porta pacchi per 230 shekel e quando torno glie la rivendo, ma il biciclettaro non è così sicuro che ce la farò.
Fra gli altri lì vicino c’e’ anche un vecchietto cristiano che ha studiato l’italiano e parla bene l’inglese, mi aiuta nelle trattative e mentre aspetto il biciclettaro mi racconta che suo figlio e’ stato
ammazzato dagli Israeliani e che devo stare attenta ad attraversare i territori occupati, la gente delle colonie e’ poco raccomandabile e non ci mette nulla a spararti addosso.
La mia bici e’ pronta e’ gialla, “così ti vedranno”, mi dicono, e sorridono.
Monto le mie borsette, quella in cui ho un armamentario mediatico e quella con i mandarini, lo spazzolino, le mutande.
Parto anche qui fra un colle ed un altro e mi rendo conto che andare in bici qui cmq è proibitivo.
Arrivo al check point, i militari mi urlano, “dove cazzo pensi di andare?” suppongo… “Hey, ho un passaporto internazionale e posso passare” mi spiegano, solo dopo aver fatto ‘un controllino’, che di lì possono passare solo le macchine, e solo alcune macchine.
Ma io insisto, il tipo a cui sfrantegavo i maroni ad un certo punto mi dice che posso passare dai campi… a beh…
Vado per i campi e poi salto su nella strada. Se me lo dici tu…
Intanto mentre trafficavo col militare c’era un Palestino super pacifico che pascolava li’ le sue pecore, mi sorride, parla inglese perfettamente e mi chiede cosa faccio dove voglio andare, se la ride, non gli capita forse tanto spesso di vedere i militari messi alla prova da un caso del genere.
Mentre attraverso i campi un po’ più in là dal check point becco un biondo con la fotocamera. Ma guarda un po’ cosa si scopre ad andare per campi! E’ di Bruxelles, e’ andato in giro a fare un po’ di foto alle colonie intorno a Ramallah, ma, mi dice, che da li’ e’ quasi impossibile. Mi dice di stare attenta.
Scavalco il gard rail e via, sono sulla strada. Subito mi becco una mega salita bastarda, vabbe’ sara’ tutta così, meglio se imparo ad usare ste marce.
Il paesaggio e’ bellissimo, colline dolci, belle pietrose a volte terrazzate per ospitare file di ulivi, altre volte più ripide e rocciose. Via via trovo nel cammino i vari avamposti dei coloni, per lo piu’ delle terribili villette a schiera sulla cima dei monti.
Le strade che si intravedono sono protette da muri e inferriate, filo spinato.
Questa cosa non ha alcun senso.
Sulla via la gente mi saluta, mi suona il clacson, qualche militare mi ferma e mi dice di stare attenta agli arabi che mi possono tirare delle pietre perchè sembro ebrea… se se .. gli Arabi tirano le pietre alle macchine super corazzate degli ebrei, non a chi va in bici, non a chi cammina sul livello della strada. Cmq il tipo mi lascia andare anche se sta per venire buio e mi dice di fare in fretta.
Sono partita alle 2 e mezza e un po’ mi pento, avrei preferito fermarmi un po’ di più per i campi, prendermela più comoda. Ad ogni modo. Non si vede piu’ nulla.. Decido di fermarmi in un campo sotto un ulivo.
Mi cambio maglietta comincia a far freschino mi metto la giacca e la mia inseparabile sciarpa. Controllo la mappa, la fotocopia della mappa di Mike, un ragazzo inglese che sta attraversando a piedi il territorio, in barba ai confini ed i check point. Nablus non e’ lontana ed anche se non vedo una fava mi rimetto in marcia.
La strada e’ sempre piu’ dissestata, mi sto avvicinando alla città, è chiaro. Ad un certo punto il cartello segnala che mancano 10 km.
Mi avvicino al check point, questa volta l’aria è parecchio diversa, mi puntano la luce dalla torre ed i fucili mentre urlano, gli grido che parlo solo inglese allora mi fanno avvicinare. Uno di loro è particolarmente incazzato, mi chiede cosa ho nelle borse, nulla solo un picolo bagaglio per passare qui 4-5 giorni, si ferma lì, per fortuna. L’altro fa il mediatore, ce sta pure a provà, solo che sono tutti ventenni e mi sembrano un po’ tutti miei studenti. Mi dice di essere del nord di Israele la parte più verde e bella della zona, già, penso fra me e me, le terre strappate alla Siria, mentre non smetto di sorridere.
Alla fine ci accordiamo che gli ultimi 5 km li devo fare in macchina, non posso passare dal check point in nessun altro modo, il tizio si offre di aiutarmi a trovare qualcuno che carica su la bici.
Ci prova con un bus sovraffolato… mi sembra improbabile rinunciamo,
alla fine passa un bus scalcagnato semi vuoto e gli propongo quello, lo ferma e ci monto su.
Dentro c’e’ solo l’autista ed Hussin, che mi lasciano al campo di Balatah ai piedi della città.
Hussin ha 20 anni, fa avanti ed indietro dalla palestina ad israele per lavorare, e’ uno stampatore, gli chiedo cosa stampa ma non capisco. Mi dice che qui tutto è morto e per forza deve andare a lavorare da un’altra parte. Hussin si è innamorato di me, mi porta a far conoscere mezzo campo, mi offre il falafel ed una limonata fredda.
Poi in una corsa assurda su per il monte mi accompagna col suo amico taxista verso un albergo, la bici pende dal cofano. Saluto tutti, mi rendo conto che ho le gambe a pezzi, faccio la doccia, spengo la luce.
e brava 🙂 leggendo queste tue righe mi sono immaginata tutti i posti e le persone con le quali hai parlato, quasi mi viene la lacrimuccia… ma soprattutto una nostalgia di quei luoghi e, nonostante tutto, del senso effettivo di vivere che si respira :*
Maresa, tu sei fuori. Io pensavo di essere il più pazzo di tutti a passare a piedi le montagne intorno al check point di Beit Jala in piena seconda invasione israeliana, con i tank che sparavano a vista. Anche tu non scherzi. Vedi di stare all’occhio. Missing Palestine. =D
tranquilli tranquilli, sto all’occhio 🙂