Gloomy sunday


E’ arrivato l’inverno, un freddo porco dall’Italia, si dice qui… e te pareva!
Con il grigio ed un po’ di pioggia mi muovo ad Hebron, sempre con la bici al seguito, non si sa mai che magari il tempo sia clemente e mi consenta di andare in giro per i villaggi e la campagna.
Sono qui da ormai due giorni e non riesco a scrivere nulla, la situazione e’ davvero pesante. Gia’ andare a Betlemme in bici due giorni di seguito e’ stato pprovante, li’ il muro e’ una manifestazione assurda di violenza che disciplina i percorsi le traiettorie, separa le menti. Ma il fatto che sia stato riempito di murales e sia popolato continuamente da gente che ci brulica intorno, mi fa percepire che c’e’ una reazione, che la cosa non passa inosservata e come sempre blu ne ha dato un’interpretazione geniale.

Ma qui ad Hebron la situazione e’ diversa. L’happartaid si tocca con mano in ogni momento. I militari sono ovunque i check point ad ogni angolo della citta’.
Devi attraversare il metal detector ogni dieci minuti, per andare al mercato, per andare a scuola, per andare alla moschea. Spero qui le persone non siano tutte come me, che la mattina risalgo in casa un paio di volte perche’ ho lasciato questo e quello…
Beh provo a scherzare. Anche se non fa ridere affatto.

Appena arrivata conosco Islam, la vedetta di Hebron, il classico ragazzo colla, ma in realta’ e’ un bravo guaglione, molto intelligente e sveglio, che tenta per sfinimento di venderti braccialetti pure militanz fatti da sua madre.
Ci prova in tutti i modi a riempirti di gadget ha anche un perfetto gergo ed in inglese riesce benissimo a raccontare le cose che chi arriva qui vuole sentirsi dire.
Ad Hebron non arrivano tanti turisti se non per indignarsi di quello che succede e scappare dopo qualche ora.
Riesco a bloccare Islam offrendogli del te finche’ non arriva anche un gruppo nutrito di Italiani, giovinastri simpatici residenti a Genova ma prevalentemente del sud riunito. Alcuni di loro lavorano e vivono qui.
Islam ci dice che siamo giusto in tempo per vedere i coloni che ogni sabato fanno un giretto nel centro storico, scortati dall’IDF, se rimaniamo li’ possiamo incrociarli di sicuro. Fa parte evidentemente dei terribili teatrini della citta’.

Per vari motivi ci allontaniamo dal coffe shop e quando ci ritorniamo i coloni sono gia’ in movimento, non si tratta di una messa in scena, sono loro che riaffermano il loro potere sulla città. La cosa mi sconvolge molto piu’ di quello che avevo immaginato all’inizio, parlo con i vari osservatori internazionali presenti qui che mi leggono in faccia lo sgomento. Non posso far altro che fotografare i coloni e la loro arroganza arriva al punto che uno di loro molto giovane fa anche lo sbruffone. Mi sale un’incazzatura dentro.

Vado a comprare un po’ di verdure al mercato, meglio se mi preparo una zuppetta dopo tutti fritti ed i falafel assunti fin ad ora. Rientriamo all’ostello e dopo qualche chiacchiera anche Badia, che mi ha portato le chiavi per entrare, se ne va. Resto sola proprio vicino al punto di ingresso dei coloni. E’ la cosa che mi preoccupa di più. Nell’ostello non c’e’ nessuno ed io mi sento un po’ Jack Nicolson nell’overlook hotel, spero che il mattino abbia l’oro in bocca.

Il giorno seguente il cielo e’ lattiginoso e mentre mi muovo per le strade della città vecchia mangio la sabbia trasportata dal vento gelido del deserto.

Mi muovo verso le colonie, la citta’ e’ svuotata e la shuada, ha tutti gli accessi dalle vie laterali sbarrati. Puoi solo seguire un percorso obbligato e sorvegliato e con questo cielo mi sembra che questa citta’ davvero sia la cosa più vicina al deserto. Un vecchio ebreo mi saluta, cosi’ come i militari provano ad essere cordiali dopo aver controllato il mio passaporto, ma proprio non mi viene di rispondergli, nemmeno di guardarli in faccia, non dico nulla e la rabbia mi si legge negli occhi.

Mi allontano dalla via e mi inoltro nei campi ma anche li’ trovo una casa fra gli ulivi, anchessa abbandonata e data alle fiamme con scritte sui muri che inneggiano all’odio razziale.

Linko qui il report molto dettagliato fatto da Il pianto del muro cosi’ come questo video realizzato ormai 4 anni fa, ma le cose non sono molto cambiate, l’arroganza e’ la stessa, e le colonie di cui ben 2 sono assolutamente illegali anche secondo lo stesso stato di Israele, continuano ad esserci, le case ad essere confiscate in una lenta strategia per cui pian piano ed in silenzioi Palestinesi vengono allontanati dal centro storico. Le mobilitazioni nel corso dell’ultimo anno sono state volte per lo più alla riapertura della shuada, per consentire almeno la libertà dimovimento, la riapertura dei negozi e allentare l’assedio quotidiano che si respira ad ogni istante.
Ma alle manifestazioni pacifiche e comunicative l’esercito ha risposto malissimo, con arresti violenza e la chiusura di ulteriori negozi, mettendo ancora più in ginocchio la vita già difficile per chi resiste nel centro storico.

Continuo a camminare e passo davanti alla stazione dei bus dei coloni e trovo questa perla: la storia di Hebron in quattro comodi step, dalla bibbia al roseo presente (il 1967).

In realta’ fra una casetta ed un’altra ci sono dei passaggi sostanziali mancanti, ad esempio, mi spiega Badia, che la casetta numero 3 racconta una storia vera, quella della distruzione della citta’ da parte dei mussulmani, ma mi spiega meglio, che era successo all’epoca che un gruppo di ebrei era entrato nella città santa per pregare al muro del pianto, cosa che allora era a loro proibita.
Un gruppo di mussulmani credendo che la cosa fosse oltraggiosa insorse e l’esercito britannico li fece impiccare in pubblica piazza. Alcuni di loro erano di Hebron e le ripercussioni della vicenda non tardarono a venire. Dai villaggi la gente insorse contro gli ebrei di Hebron che però furono difesi proprio dai mussulmani in città, come loro stessi hanno riportato in alcune testimonianze storiche.
Alcuni di questi ebrei sono ancora vivi e si ricordano della cosa, mi dice, vivono per lo più a Gerusalemme e non hanno nulla a che vedere con i coloni che adesso si aggirano armati per le vie.
Indicativamente tutti quelli con cui ho avuto modo di parlare mi dicono che sì qui gli ebrei ci sono sempre stati ed hanno sempre convissuto pacificamente con gli Arabi, i sionisti però sono un’altra cosa. Non sono di Hebron. Non conoscono nemmeno i nomi delle strade.

A sera sono invitata ad una festa per il passaggio di consegna del nuovo team dell’EAPPI, uno dei gruppi di osservatori presenti in città, ci sono proprio tutti, anche Islam. Devo dire che anche se questi sono un po’ happy clappy per i miei gusti e per l’umore di questi giorni, sono felice di non essere rimasta sola anche stasera. Tornerò nel gelido ostello mentre infuria la tempesta.

Sono giorni che penso a Gaza e a come deve essere lì se già qui mi sento l’acqua alla gola… Leggo che hanno ammazzato due “militanti” proprio sabato sera, pare si sia trattato di un errore, dei nervi troppo tesi dei militari che non hanno ritenuto sufficiente aver gia’ ferito i due Palestinesi che cercavano di attraversare il confine.