A qualche giorno dalla manifestazione NO VAT di sabato 9 febbraio a Roma, lanciata al grido di autodeterminazione, laicita’ ed antifascismo, termini e partiche che contrastano con la cronaca dei nostri giorni come dimostra la misera vicenda per cui alcuni medici romani qualche giorno fa hanno pensato bene di esercitare una vaga idea di obiezione di coscienza rifiutandosi di prescrivere la pillola del giorno dopo ad una donna che ne faceva richiesta, colgo l’occasione di segnalare la pubblicazione del trailer di un documentario che presto uscira’ nelle sale e per cui ho avuto l’onore di lavorare (un breve contributo come assistente al montaggio).
Si tratta di Vogliamo anche le rose, di Alina Marazzi, un film che ha il merito di aver raccolto meravigliosi materiali fra gli archivi della rai, dell’amod, e diversi archivi privati, e che in un montaggio mirabile, dell’ottima Ilaria Fraioli, ritesse il percorso di maturazione e consapevolezza che hanno affrontato le donne in Italia fra gli anni ’60 e ’70.
Non e’ un film sul movimento femminista, anzi il punto di vista privilegiato e’ quello soggettivo, affrontato narrativamente attraverso il recupero della scrittura privata, del diario, che peraltro e’ la cifra stilistica piu’ marcata della poetica della Marazzi, gia’ espresso magistralmente nel film Un’ora sola ti vorrei (2003). Eppure e’ impressionante ripercorrere in 90 minuti la storia che va dall’emancipazione delle donne dal lavoro in casa, alla parita’ sul posto di lavoro fino divorzio e all’aborto. Passando anche per una sensibile messa in discussione delle relazioni e dei rapporti come contributo e un punto di vista di genere portato dalle femministe all’interno dello stesso "movimento". Il film risulta essere ad ogni modo un impressionante documento di come tutte le donne attiviste e non avessero la consapevollezza di vivere un momento storico in cui grossi conflitti si attuavano intorno a loro e sui loro corpi e hanno saputo agirlo e determinarlo come un momento di grosso cambiamento. E’ imperdibile l’immagine di una bambina in manifestazione con il megafono in mano che grida al dirigente di piazza alto il doppio di lei che le donne non hanno paura, immediatamente dopo quell’uomo ordino’ la carica (campo de fiori 1972).
Se penso che a distanza di 30 anni alcune questioni, sono oggi rimesse in discussione e in quali forme oscurantiste e repressive, penso che film come questi siano sostanziali.
Un solo rammarico: nel montaggio finale e’ stata tagliata fuori un’immagine a cui mi ero affezionata, si trattava di una casalinga sindacalista, lavorava alle lebole in toscana e fra una ramazza, il bimbo che deve fare i compiti e il lavoro, veniva intervistata nel momento in cui in cucina con le compagne prende un te e parla di lotta di classe e rivoluzione. In effetti era un po’ affettata, ma ho amato fin da subito quella donna anche nella sua impacciataggine difronte all’invadenza delle inchieste televisive di quel periodo intrise di sociologia d’assalto. Mi piacerebbe conoscere quella donna.
Altra chicca: la musiche originali sono dei Ronin
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