Dopo diversi anni sono tornata alla mostra del cinema di Venezia, il primo festival che dalla lontana puglia quando ero ragazzetta avevo deciso di visitare, per farmi un’abbuffata di film.
Ad un certo punto mi ero scocciata dell’approccio troppo istituzionale e polpettone, oltre che della massiccia presenza di persone che, a me che sono tendenzialmente orsa, mi facevano apparire il tutto come una gran sbatta senza beneficio. Il risultato e’ stato che sono circa 5 anni che non ci andavo, l’ultima peraltro piu’ per l’apparizione di san precario sul tappeto rosso che per vedere I film.
Quest’anno mi ci hanno spedita e quasi controvoglia ho detto di si’, ma con mia sorpresa la marmaglia di gente e’ scomparsa, i film si sono ridotti in numero ma la selezione piu’ serrata ha dato spazio a film di maggior qualita’. Sono stata li’ pochi giorni e con l’intenzione di vedere poca roba ma poi, presa bene, non ho saputo resistere all’attacco bulimico di entrare al cinema alle 11 di mattina ed uscire a mezzanotte (insomma mi sono di nuovo sentita giovane :).
Appena arrivata, niente fila per l’accredito e via col primo film, il migliore del festival a mio modesto parere, Celda 211 di Daniel Monzon, ambientato in un cacere di massima sicurezza proprio quando Juan e’ in vista per il suo primo giorno di lavoro. Guarda caso la notte prima sono stati trasferiti li’ anche 4 detenuti dell’eta, e’ il momento giusto per l’assedio e per rivendicare delle condizioni migliori per gli ospiti della casa circondariale. Il leader dei detenuti, Malamadre, ha gia’ previsto tutto: il secondino bastardo avra’ il suo trattamento speciale e sara’ assieme ai detenuti dell’eta la leva per le trattative. Nel frattempo Juan e’ rimasto chiuso dentro e non potra’ che fingersi detenuto anche lui. Non aggiungo altro tutto questo succede nei primi 20 minuti in resto e’ amore, amicizia e poliziotti bastardi. Geniale, per scrittura, personaggi e fotografia. Vado a cercarmi in rete tutti gli altri film del regista.
Subito dopo, senza nemmeno attendere la pausa pranzo mi fiondo a vedere Kakraki, storia d’amore al freddo della russia dei nostri giorni, non ho saputo sostenere il tratteggio superficiale dei personaggi dopo il film spagnolo ed sono uscita dopo mezz’ora: un tramezzino mi fara’ bene.
Entro in sala a vedermi i documantari di Riccardo Napolitano. Regista e cofondatore del mitico AMOD recuperati e restaurati nella sezione questi fantasmi. 4 piccoli saggi su antipsichiatria, sociologia della moda, disoccupazione ed inquinamento, assolutamente limpidi quanto ideologici, anche se con le analisi tutto sommato ci si puo’ ritrovare ancora oggi. Mi esalto, anche perche’ quello sulla moda e’ in qualche modo complementare al lavoro che stiamo facendo oggi noi con serpica naro…
ma questo lo capisco solo io…per ora.
Mi ristudio un po’ il calendario e decido di privilegiare nelle mie visioni le sezioni collaterali o cmq i film che non usciranno in sala con un’occhio di riguardo per la sezione delle giornate degli autori curate da un discreto team fra cui Giorgio Gosetti, che per ora ha mantenuto il premio di qualita’ del festival. Una selezione che ha preso un posizione netta, politicamente provocatoria tutta tesa ad indagare le forme dell’alterita’ e delle migrazioni, aria pura nell’italietta delle liberta’.
Nel pomeriggio mi vedo L’amore e basta, documentario di Stefano Consiglio sui processi di normalizzazione nelle coppie omosessuali di mezza europa: monogamia, tensione spirituale, bisogno di procreare e vecchiaia. Un documentario dalle teste parlanti, intermezzato dalle bellissime animazioni di Ursula Ferrara. Non un film imperdibile ma di certo interessante e a tratti anche commovente. Si fa guardare.
In serata mi concedo un film in concorso, un vero pacco… uno dei pochi presi, Lei wangzi, film mandarino sul dramma della Terrore bianco nell’isola di formosa, mi sono addormentata mentre la famiglia del mulino bianco taiwanese veniva accusata di spionaggio per la Cina Maoista.
Torno a Venezia in vaporetto, a domani.