Sionismi reali

Fra citta’ e campagna, i due modelli di comunita’ che si possono trovare in Israele.
Non saprei dire quale mi sembra piu’ aberrante. Se il modello urbano, con la gente stritolata dal costo della vita in un posto dove manca tutto e dove l’assalto alle risorse e’ condito da tutte le contraddizioni della vita urbana: overlavoro, individualizzazione, globalizzazione
ed omologazione degli immaginari. Le città qui sembrano degli enormi centri commerciali. Per andare in Giordania devo passare da Eilat,
lo sbocco israeliano sul Mar Rosso. Come abbiano potuto ridurre una città di mare in questo stato davvero non lo so.
La costa e’ merlata di Hotel che sembrano pesanti petroliere arenate su una spiaggia corallina.
Andrebbero rimossi subito.
L’aeroporto e’ subito dietro alla petroliera, e fra un buco e l’altro, mille bancarelle che vendono cazzate a signorine in divisa che passano al solo le loro giornate di congedo, imbracciano la borsetta fuxia con le borchie autunno-inverno 2010, mentre sull’altra spalla pende il fucile.
A 10 km da qui, Aqaba, dove la gente in spiaggia sta svaccata col narghile fra le labbra, sorseggiando un te, ed anche se fanno il bagno completamete vestiti (cappotto incluso, naaaah!) in compenso mi sembra che si rilassino di più, o almeno non sono in fila per accedere al lettino nella fila corrispondente al biglietto acquistato.

Le citta’ sono una delle facce del sionismo reale. La gente qui e’ devastata dentro, non ha piu’ sogni ed il sionismo è un’idea artefatta, lontana, che non li rende affatto felici. Sono incazzati, anche se sono convinti del fatto che “dall’altra parte non e’ mica come qui”. Ehnno’, non e’ come qui.
Sulla spiaggia di Aqaba, raccolgo i coralli, mi si avvicina una tipa un po’ svitata che prova a parlare con me, provo a risponderle con il mio arabo turistico, dopo un po’ arriva una signora con al seguito due bimbi piccoli 3 anni, 7 mesi. La tipa svitata si alza e va a prendere in braccio la bimba di sette mesi e me la porta in dono.
Se fossi stata a Milano l’allarme sarebbe partito immediatamente, se fossi stata a Tel Aviv avrebbero arrestato la pazza terrorista per la chiara provocazione, mentre invece qui la mamma mi sorride e non ha la minima tensione rispetto all’allontanamento della bimba. La cura si trasmette in un altro modo e non e’ relegata solo al privato.

La tipa viene da Amman, ed e’ qui in visita. Non conosce nessuno, ma si rilassa anche lei sulla spiaggia, la temperatura e’ gradevole anche se c’e’ vento. Quando il tempo e’ cosi’ un po’ per tutti c’e’ la possibilta’ e la voglia di fermarsi un attimo e parlare con chi ti passa accanto. Il denaro non e’ tutto, mi dice Shark, un sessantenne che diventera’ il mio angelo custode verso il Wadi Rum. Mi accompagna perche’ sono sola ed è meglio non stare da soli nel deserto.

A Tel Aviv a Gerusalemme, gli ebrei non ti cagano, sono loro che ti stanno facendo un favore, sei qui grazie a loro. Si sono dimenticati che per anni queste terre sono state solcate dalle persone piu’ disparate con una ricerca piu’ o meno personale, idee piu’ o meno buone, ma sempre grande motivazione ad essere qui. Almeno questo potrebbero ricordarselo. No. Loro sono i legittimi destinatari di questa terra e le porte si aprono solo se la scansione dell’iride restituisce la certezza del lavaggio del cervello.

L’altro modello comunitaro, quello di chi è per l’appunto fuggito dalla città, è molto diverso da questo, ma le contraddizioni non diminuiscono.
Il brainwashing qui non c’è. O almeno io non l’ho incontrato ‘in pieno’. Sono stata nel deserto dell’Arava, dove c’e’ un gruppo di moshav, pare fra i piu’ fricchettoni della storia israeliana. Ci sono persone con delle competenze della madonna, sono tutti fisici, matematici, geologi etc etc, ma sono anche tutti contemporanemante contadini.
E con le loro competenze si erano messi in testa, seguendo alla lettera quello che il loro leader Ben Gurion gli aveva indicato, che il deserto era il vero banco di prova della nuova nazione israeliana. In un posto meraviglioso e selvaggio, fatto di canyon si sabbia e fango diversi metri sotto del livello del mare, sul letto di quello che un tempo era un fiume, l’Arava, stanno sviluppando un’agricoltura avanzatissima, producono peraltro ortaggi biologici che esportano in tutto il mondo. Un mare di tendoni di plastica nel mezzo del deserto. Scavano pozzi per cercare l’acqua in profondita’, raffreddano le serre in estate, controllano la presenza di insetti per l’impollinazione etc etc. Il loro villaggio e la loro comunita’ e’ molto simile a quello che potrebbe essere l’organigramma di una comune, gente che molla la citta’ o il suo villaggio del cazzo per autorganizzarsi e costruire qualcosa di nuovo.
Aiuto. Sono nel deserto e tutto mi sembra assurdo, quando sono arrivati loro hanno occupato le terre mettendo in fuga verso la Giordania i Beduini che si muovevano anche in questa area, il Wadi Arava appunto. Proprio a Petra, Majeed, uno dei Beduini che veniva proprio da li’. ‘Hanno ammazzato mia madre dall’elicottero’ mi racconta, ‘nel 60′. Le date coincidono con i racconti dei fricchettoni. Il moshav piu’ antico e’ del 65 ma prima c’e’ stato un insediamento miltare per scavare i pozzi ed occupare illegalmente quell’area, questo si’ me lo dicono. Il confine della Giordania infatti includeva il fiume, ma poi nei vari accordi raggiunti l’Arava e’ divenuta israeliana ed il confine si e’ spostato al monte Edom, mentre Isarele ha ceduto delle terre a nord, la valle del Giordano dove molti coloni in questi giorni stanno occupando nuove terre ai Beduini.

Qui la tensione non si sente, sono tutti per lo piu’ sessantenni, la prima generazione. Tutti ancora in fissa con l’olocausto. Ci sono alcune famiglie di seconda generazione, per lo piu’ tornati qui per mettere su famiglia. Ma mi spiaga Ami, in realta’ non tutti i loro figli possono tornare li’, la comunita’ collasserebbe, non c’è posto per tutti quindi solo ad uno dei figli della prima generazione è concesso il diritto di fermarsi e la cosa quindi deve essere ponderata per bene.
Fratello contro sorella. In sostanza questo esperimento mi sembra aberrante in tutte le sue forme, anche perche’ l’immaginario che hanno riprodotto è quello del villaggio del sole dove l’amore regna fra gli eletti (e veramente mi sembra che loro si amino fra loro), i fiori tutto l’anno, l’erba sempre tagliata etc etc. Come fanno? Beh, ci sono i Thai workers che lavorano. Kobi dice ‘in Giordania ci sono gli Egiziani, qui i lavoratori sono i Thai’.
Ed infatti al mattino presto ed alla sera (anche io sto andando nei campi per fare un piccolo lavoretto) li vedi a capanelli, completamente coperti in viso, per la sabbia ed il sole, lavorano nelle serre, per raccogliere i peperoni ed i pomodori, ma anche per fare tutti i lavori di manutenzione, pulitura etc etc. Sono abituati al caldo tropicale e guadagnano 50 dollari al giorno ma possono rimanere solo 5 anni.
Ci sono delle agenzie tailandesi che si occupano del recrutamento dei lavoratori e delle pratiche burocartiche per i documenti. A novembre i moshav hanno dimostrato contro il governo proprio per la questione Thai. Di base loro propongono di fare in modo che i lavoratori abbiano il permesso di soggiorno solo per un anno, perche’ dopo un circa 3-4 anni (di deportazione) cominciano a bere e a far casino, belagan, come dicono loro.
In piu’ in realta’ il governo israeliano vuole limitare l’ingresso ai migranti mentre per favorire la forza lavoro israeliana. Ma mi dice Itomar, gli Israeliani questo lavoro non vorranno farlo mai.. Eggia’ e poi come fa la comunita’ a dare gli stessi diritti a tutti i figli di Davide, stessi salari stessi tempi di vita, stesso sogno di felicità?
Bella sfida per una comnita’ utopica, chissa’ cosa gli direbbe Ben Gurion.

A discapito del mito della loro ricerca di autenticità e della loro ossessione per l’originarietà, nella valle dell’Arava nulla e’ al suo posto: la gente che ci abita, le colture, gli insetti, l’acqua, la terra, i migranti.

A Natale decido di evitare le folle religiose in visita nel West Bank per rifugiarmi nella riserva naturale di Ein Gedi sul mar morto. E’ stata un’ottima scelta, scarpinate montanare con Moshi e Shaul, due ventenni anche loro in congedo. Uno e’ nato in un kibbuz del nord ed è bello indottrinato (usa le frasi fatte che ho sentito pronunciare da molti, certamente si tratta della stessa fonte) l’altro timido ma molto più aperto e disponibile al dialogo anche se non parla bene l’inglese, e’ di origini francesi.
Mi chiedono cosa si pensa in Italia di Israele… intanto gli dico che il muro proprio no, e li mi inbuco nel solito garbuglio retorico che il muro e’ fatto perche’ c’erano gli attentati e questo non se lo ricorda nessuno e bla bla bla, poi cerco diplomaticamente di fargli capire che per me Israele non ha ancora sviluppato le basilari conquiste illuministe che hanno condotto alla nascita delle nazioni moderne: laicita’ dello stato e uguaglianza di diritti per le minoranze, gli spiego anche il mio totale disappunto rispetto all’onnipresenza dell’esercito, in sostanza gli parlo di rivoluzione francese, movimenti per i diritti civili e pacifisti, robe pop che non potessero essere attaccate in nessun modo… Oh questi quando parlano di storia si rifanno alla bibbia e penso sia gia’ stato un lampo di genio da parte mia aver saputo approcciare la questione in questo modo mentre cercavo di non cadere nel canyon…
In sostanza non volevo chiudere la conversazione con loro, ma provare a fargli vedere la cosa da un altro punto di vista, fornirgli altre retoriche (mi è partito l’istinto pedagogico e so che posso fargli il brainwashing al contrario!) anche se completamente astratte… please don’t blame me.

Discutiamo su tutto, è difficle parlare con loro e i miei discorsi pendevano volutamete a eviatre la questione del conflitto palestinese con cui loro giustificano tutte le loro porcate, per paralre in termini proprio più astratti di come loro percepiscono se stessi, la loro comnità/nazione. Non so per quale motivo ma ci stiamo simpatici mentre scarpiniamo fra una pozza e una cascata, forse perche’ gli sto dietro nonostante abbia una decina d’anni in piu’. Da un lato sono piu’ saggia di loro, da un altro loro parlano come mio nonno, quando mi raccontano della loro idea di famiglia e di relazioni. Gli spiego questa mia sensazione di sentirmi contemporaneamente piu’ vecchia e piu’ giovane di loro e gli dico che probabilmente, nelle prossime generazioni anche loro andranno incontro fisiologicamente a una messa in discussione delle istituzioni, a dare per scontate alcune cose e a non avere piu’ la loro fiducia incondizionata nell’ordine sociale che le prime generazioni si sono date. Forse, ed in inglese non so se loro mi hanno capita. Ma non conta ormai siamo nelle pozze d’acqua calda e galleggiamo nel mar morto.

Le luci sono spente ed il cielo e’ pieno di stelle. Ci passiamo palle di fango fra una riflessione e l’altra. Eddie Vedder veglia su di noi.

5 commenti

  1. oh, finalmente scrivi qualche cosa, forse eri troppo presa a spiegare la rivoluzione francese ai boys israeliti :p

  2. ehnno’…per fortuna.. il report racconta del sionismo reale,
    anche perche’ mi sa che di israele e delle sue reali contraddizioni nessuno davvero racconti molto.
    Per mia fortuna non mi sono persa mica nel mondo zionista e la pausa giordana e’ stata salvifica, con anche un solstizio d’inverno passato sui monti coi beduini e la luna piena.
    figata!

  3. brava! ma come fai?
    io quando mi avvicinavo ai sionisti in genere un forte bruciore di stomaco mi faceva scappare dopo poco!
    Io adesso sto in Italia… pero’ sogno continuamente di stare in palestina… e sogno soldati… quei tanti soldati a cui ormai avevo quasi fatto l’abitudine!
    continua cosi! cosi magari mi ispiri sogni migliori!
    buonanotte

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